All'interno del Parco naturale La Mandria si trova uno degli ultimi esempi di bosco sopravvissuto in ambiente di pianura, per la precisione il più occidentale tra quelli rimasti e uno dei più estesi.
Il bosco che possiamo osservare ancora oggi ha tuttavia subito radicali trasformazioni sia nella sua estensione che nella struttura originaria a causa di interventi antropici, in particolare:
- disboscamenti effettuati in periodi storici diversi
- pascolamenti irrazionali (soprattutto bovino), operati anche all'interno dei boschi
- sovrappopolazione di ungulati selvatici (cervi e daini in particolare)
- incendi ripetuti per offrire pascolo al bestiame
- gestione selvicolturale errata da un punto di vista prettamente ecologico
- introduzione voluta o accidentale di specie vegetali non autoctone
Ad oggi è molto probabile che nessuna foresta delle regioni temperate dell'emisfero boreale si possa considerare immune dagli effetti diretti o indiretti dell'attività umana.
Nel Parco negli ultimi decenni grazie all'abbandono della ceduazione, alla conservazione di un buon quantitativo di legno morto e all'interruzione della pratica del pascolo bovino il bosco sta assumendo una connotazione di maggiore "naturalità" testimoniata dalla presenza di alcuni parametri quali: dominanza di specie native, struttura pluristratificata (strato arboreo, arbustivo, erbaceo-muscinale), presenza di alberi di grosse dimensioni, ampio range dimensionale dei diametri, accumulo di alberi morti in piedi e a terra, vuoti nella copertura susseguenti a schianti di alberi.
Il Querco-carpineto
Il bosco del Parco Naturale La Mandria viene comunemente definito come un Querco-carpinetum, ossia un bosco dominato dalle querce (farnia nei terreni più ricchi in acqua e rovere in quelli più asciutti) e dal carpino bianco (fig. 1). Quest'ultimo, molto diffuso, è stato favorito dalle continue ceduazioni del passato (tagli regolari negli anni): indubbiamente nelle foreste primigenie doveva essere relegato ad un ruolo più marginale, mentre più comuni dovevano essere olmi e tigli. A queste specie si accompagnano altre latifoglie come frassino maggiore (nei distretti più freschi), ciliegio selvatico, acero campestre, più sporadici gruppetti di tiglio selvatico e olmo campestre nelle forme adulte. Quest'ultimo, falcidiato in passato dall'oidio, da ricostruzioni archeobotaniche risultava essere la specie dominante insieme alle querce nelle foreste del neolitico. Nelle aree più paludose prevale l'ontano nero che costituisce boschetti acquitrinosi dal valore ecologico notevole.
Marcatamente in regressione il castagno, utilizzato in passato per i frutti e attualmente presente con pochi esemplari sparsi in alcuni settori del parco, causa diverse malattie che hanno colpito la specie (fig. 2).
Nel sottobosco crescono arbusti come il nocciolo, la cui particolare diffusione (osservabile soprattutto nella parte bassa compresa tra gli ingressi Tre Cancelli e Ponte Verde) è da imputare alla conduzione a ceduo operata fino a qualche anno fa, il biancospino, Crataegus oxyacanta e il più raro C. monogyna, il prugnolo (abbondante lungo i bordi delle fasce boscate), le due specie di corniolo (Cornus mas, distintamente osservabile a fine inverno con i suoi fiori gialli, e C. sanguinea), la berretta da prete.
I querco-carpineti, per il valore naturalistico che assumono, essendo tra gli ecosistemi più ricchi di vita, e per la frammentazione che hanno subito in tutta Europa sono considerati dalla comunità europea tra le più importanti formazioni vegetali da tutelare, annoverati dalla Direttiva Habitat quali habitat di importanza comunitaria. Una tutela più rigorosa è stata individuata per i boschi alluvionali ad ontano nero (fig. 3), particolarmente vulnerabili causa la regimazione delle acque e la bonifica delle aree paludose attuate per favorire l'espansione dell'agricoltura. Essi sono classificati quali habitat prioritario dalla Direttiva Habitat, che ne riconosce una rilevanza naturalistica di primissimo piano e ne impone la salvaguardia. Dove invece è semplicemente l'umidità ad essere maggiormente disponibile nel suolo, in particolare negli impluvi più freschi e lungo i fossi, prevale la copertura del frassino (fig. 4). I frassineti sono individuati anch'essi come habitat prioritari.
Da ciò si evince che i boschi presenti nel parco naturale assumono un valore ecologico di estrema importanza. Ne consegue un dovere di tutela rigorosa non solo per la loro semplice conservazione strutturale, ma anche per preservare i cicli biologici che governano la vita delle foreste.
Le Lande arborate
In quei settori del terrazzo superiore del Parco (Pian Bruciato e Pian Costere) il bosco si fa estremamente rado (fig. 5). Le querce crescono sporadiche e con aspetto poco dominante. Il terreno particolarmente argilloso, con un pH acido, si presenta siccitoso nei mesi più asciutti e umido e imbibito di acqua in quelli più piovosi. Lo strato arbustivo è dominato dalla frangola, specie diffusasi in particolare negli ultimi anni anche grazie alla scarsa appetibilità da parte dei cervidi, mentre il sottobosco erbaceo è dominio della molinia, una graminacea la cui compattezza di crescita ostacola la germinazione di altre specie. Tale situazione determina un rallentamento importante dell'evoluzione naturale della vegetazione verso la foresta più compatta.
Questo habitat rappresenta uno stadio avanzato di degradazione della vegetazione naturale, il querco-carpineto, a causa degli interventi umani del passato: intensi disboscamenti per permettere il pascolo del bestiame, unitamente alla pratica di incendiare vaste zone al fine di favorire la crescita della molinia, che veniva utilizzata come impaglio in zootecnia.
Nonostante ciò l'area ospita alcune specie particolari come la genziana mettimborsa, il gladiolo imbricato e il raro lepidottero Coenonympha oedippus. Per questo motivo le lande arborate sono un ambiente protetto dalla Direttiva Habitat (denominato come Praterie con Molinia su terreni argilloso-limosi).