Geomorfologia naturale La Mandria
La Mandria: un paesaggio molto antico
Il paesaggio fisico dell’alta pianura padana piemontese settentrionale è dominato o dalle colline delle cerchie moreniche o da altopiani fluviali a forma di ventaglio con apice allo sbocco delle valli non glaciali. Tali altopiani risultano variamente sopraelevati rispetto ai corsi d’acqua attuali, via via più antichi e incisi. Si tratta di paleo forme: nel caso dell’altopiano de La Mandria e della Vauda si tratta dell’antica pianura dove scorreva la Stura di Lanzo. La superficie dei terrazzi è spesso ricoperta da depositi eolici, una testimonianza, forse la più evidente, dell’epoca glaciale.
L’origine dell’altopiano de La Mandria, risale all’ultima parte dell’era quaternaria, ovvero all’incirca gli ultimi un milione e ottocentomila anni. Nell’ultimo periodo dell’era terziaria, il pliocene, al posto della Mandria si trovava un mare basso e caldo in lento ritiro e il clima era molto più stabile con assenza di fluttuazioni glaciali. Questo ambiente ci ha lasciato dei depositi fini [si veda 1.1.2], da delta fluviale, visibili lungo le aste dei torrenti Ceronda e Stura. Al di sopra di questi sedimenti, con contatto abrupto, erosivo, si trovano le ghiaie fluvioglaciali pleistoceniche. L’era quaternaria è stata divisa in due periodi: uno più antico, il pleistocene, ed uno più recente, l’olocene, che si protrae fino ai nostri giorni. Durante il pleistocene sono stati riconosciute molte decine di periodi di avanzata glaciale, o stadi glaciali, definiti grazie alla distribuzione isotopica oceanica dell’ossigeno e contrassegnati da un numero crescente (se “1” definisce l’attuale stadio interglaciale, avremo gli stadi glaciali 2, 4, 6 ecc.). Durante alcuni degli stadi glaciali i ghiacciai sono usciti dalla cerchia alpina depositando materiale che ha formato gli anfiteatri morenici. Questo non è mai avvenuto per i ghiacciai delle Valli di Lanzo che comunque hanno prodotto l’abbondante materiale alluvionale che costituisce il corpo tridimensionale chiamato conoide della Stura di Lanzo (ora dissecato nei due lembi de La Mandria e della Vauda) formatosi a causa deforte cambio di gradiente che si verifica allo sbocco vallivo dove i canali tendono a disporsi a ventaglio.
L’alternarsi di lunghe fasi erosive e di brevi fasi deposizionali in un contesto di sollevamento e di aggradazione regionale ha prodotto la dissezione e il terrazzamento del conoide originario. La ragione di questo sollevamento è che il substrato della pianura padana piemontese è in compressione, stretto tra due fronti di sovrascorrimento, l’alpino e l’appenninico. La reazione a questa compressione è la formazione di faglie a basso angolo che sollevano a blocchi il margine pedemontano.
Attualmente il Parco La Mandria comprende il lembo residuo destro del grande conoide di deiezione del fiume Stura suddiviso in vari ordini di terrazzi dalla superficie pianeggiante in gran parte conservata (vaude) ma intaccate da vari rii in attiva erosione (basse), spesso impostati su paleoalvei, e separati da scarpate (rive) alte a volte decine di metri.
E’ possibile distinguere lungo l’asta dello Stura almeno i seguenti ordini di terrazzo: l’attuale alveo inondabile (imprudentemente occupato anche da strutture produttive importanti), un terrazzo inferiore (Grange di Nole, Cafasse, Cirié, Venaria), a volte definito come il livello fondamentale della pianura, un terrazzo intermedio (gli attuali altipiani de La Mandria e della Vauda) e un terrazzo alto conservato solo in lembi tra Germagnano, Lanzo e Balangero a sinistra e La Cassa a destra, tra i 550 e i 500 metri slm.
L’evoluzione dell’alveo attuale dello Stura presenta due caratteristiche degne di nota: il terrazzo sinistro ha un aspetto uniformemente digradante con tracce di molti alvei abbandonati mentre il terrazzo destro è una scarpata in forte erosione. Questa tendenza dell’alveo a spostarsi verso destra, insieme allo spostamento simmetrico a sinistra dell’alveo del Sangone indica un progressivo sprofondamento della pianura sotto la Città di Torino dovuto probabilmente alla costipazione dei sedimenti plioquaternari e al “peso” del fronte di sovrascorrimento padano (cioè la Collina di Torino) in continuo, seppur molto lento spostamento verso nord-ovest.
Da notare infine la trasformazione avvenuta negli ultimi decenni dell’alveo della Stura, da pluricursuale a treccia a monocursuale incassato, trasformazione dovuta, come è noto, all’aumentata velocità della corrente dovuta a sua volta alle escavazioni in alveo e alle arginature artificiali.
La copertura limosa (si tratta di depositi di esondazione fluviale ripresi e risedimentati ad opera del vento – detti Loess) dei terrazzi intermedi presenta un’erosione tipica a microfalesie prevalentemente orientate verso sud o ovest che interrompono la monotonia del paesaggio e che conferiscono a volte alle pareti delle basse una conformazione curiosamente asimmetrica, possibile retaggio di fenomeni erosivi periglaciali.
La successione conservata dei depositi , è costituita nella parte inferiore da depositi sabbioso-limosi appartenenti all’unità litostratigrafica “Villafranchiano” con livelli di lignite. Lungo la Stura tra Robassomero e Grange di Nole sono affiorati diversi ceppi in posizione di vita (foresta fossile) che hanno permesso lo studio della cenosi forestale (da notare finora la mancanza di fossili faunistici tranne rare elitre di coleotteri) che è stato possibile correlare alla flora del Pliocene medio-superiore, di clima caldo umido, cresciuta un ambiente lacustre tipico delle piane di esondazione. Gli stessi tipi di reperti sono rinvenibili lungo il Ceronda a La Cassa. Purtroppo questi affioramenti trovandosi nell’alveo attivo dei corsi d’acqua sono soggetti a continui rimaneggiamenti. Attualmente la foresta fossile è visibile solo in piccoli lembi. Sono in corso studi per la sua valorizzazione e messa in sicurezza. La successione sedimentaria passa superiormente ad un ambiente di energia leggermente superiore, fluvio lacustre, con canali anastomizzati di un antico delta sulla costa torinese. La successione è troncata e le ghiaie sovrastanti poggiano in discordanza angolare. I risultati del più recente studio magnetostratigrafico indicano un’età possibile tra 3,04 e 3,11 milioni di anni.
I depositi del villafranchiano superiore divengono via-via più grossolani fino ad essere troncati, indice dell’aumento improvviso dell’energia dei corsi d’acqua dovuta al sollevamento del margine alpino (interessato da importanti zone di deformazione attive), al cambio di regime della portata e del carico solido (periodi glaciali) e al completo cambio vegetazionale. Nel complesso i depositi del passaggio tra il Villafranchiano e il Pleistocene medio (circa un milione d’anni) sono completamente assenti.
Il terrazzo principale, è costituito da un complesso omogeneo di ghiaie clast supported con rare lenti sabbiose a stratificazione incrociata la cui granulometria è molto variabile (diametri fino a 50 cm) che nel complesso definiscono un ambiente costruito da uno più corsi d’acqua con andamento pluricursuale a treccia; la composizione litologica è molto costante e sono rappresentate tutte le rocce delle valli lanzesi sebbene prevalgano le rocce basiche e ultrabasiche come serpentiniti, lherzoliti, anfiboliti, diabasi e gabbri mescolate con micascisti, gneiss e apliti. L’alterazione di questi materiali è tale che spesso le rocce con forte componente biotitica e feldspatica appaiono solo più sotto forma di un aggregato soffice sferoidale (fantasma). In base ai rapporti geometrici e al grado di alterazione delle rocce è stato possibile dividere questi depositi in tre unità: unità di Rio San Rocco (troncata e ricoperta dalle due successive, affiorante solo nelle incisioni più profonde), unità di Fiano, unità della Mandria (giustapposte e divise da un terrazzo appena percettibile), di età via via più recente.
Le ricerche per la pubblicazione del volume “Geologia del Parco La Mandria” hanno portato alla distinzione dell’altipiano mandriano in tre unità: Unità di Fiano, la più antica – conservata lungo uno stretto lembo lungo la Val Ceronda- separata da una debole rottura di pendenza dalla Unità de La Mandria, che costituisce la maggior parte dell’altopiano. La terza Unità (Unità di Cascine Vica) è costituita da depositi glaciali dell’anfiteatro della Dora. Questi depositi si appoggiano ai precedenti senza evidenze morfologiche, è tuttavia possibile riconoscerli grazie alla presenza di ciottoli di esclusiva provenienza valsusina. Si segnala la presenza di un masso erratico di discrete dimensioni (3-4 mc), verosimilmente l’erratico più a nord di tutto l’anfiteatro. Un manto di limi di origine eolica, molto rimaneggiati da soliflussi periglaciali, ricopre ancora il terrazzo mandriano, a volte per spessori di molti metri. Ricordiamo che è possibile richiedere il volume Geologia del Parco La Mandria, corredato da carta geologica di dettaglio.
Sulle superfici dei vari terrazzi sono riconoscibili dei profili di alterazione di potenza variabile con l’età che raggiungono la profondità di circa dieci metri e più sul lembo residuo del terrazzo alto (Balangero) databile come minimo al nono stadio interglaciale (c. 350.000 anni) dove l’alterazione ha prodotto una trasformazione più o meno completa dei minerali costituenti le rocce con la formazione di una massa argillosa di colore rosso mattone, rosso – bruno dovuta al rilascio del ferro dal reticolo cristallino e alla successiva ossidazione – e localmente screziata di nero. Tutti i ciottoli eccetto quelli di quarzo sono fortemente alterati e soffici quanto la matrice. A questi orizzonti alterati, visto il loro colore prevalente, viene attribuito tradizionalmente il nome generico di “ferretto”. E’ chiaro ora che il ferretto non è, come creduto un tempo, il suolo specifico di un singolo interglaciale.
L’analisi micromorfologica indica una presenza di spessi ricoprimenti di argille (argillans), responsabili anch’essi del colore rosso, che però non raggiungono grandi profondità. Questo indica che questi suoli si sono evoluti durante uno o più periodi subtropicali caldi con precipitazioni brevi e intense.
Sovrapposta al ferretto è sempre presente, ma variamente conservata, una copertura di Loess e altri prodotti limosi colluviali, potente anche più metri costituitasi durante più stadi glaciali in clima steppico freddo sui quali si è impostata l’attuale copertura vegetale, isolando il sottostante ferretto che ha acquisito così il carattere di suolo sepolto o paleosuolo. Sono dunque riconoscibili, grazie ad orizzonti a noduli e/o argillici diversi cicli di loess – suoli forestali.
L’attuale suolo dei terrazzo mandriano è classificato “fragiudalf” cioè un suolo bruno lisciviato in cui il regime pluviotermico causa lo spostamento verso il basso dell’argilla di neoformazione (illuviazione) che tende ad accumularsi in un orizzonte profondo (Bt), e in cui il drenaggio interno è ostacolato da un orizzonte indurito detto “fragipan” (che rappresenta, si pensa, la degradazione criogenica, durante gli stadi glaciali, del precedente orizzonte Bt) che impedisce anche l’approfondimento delle radici. Ne consegue che lo spessore utile per la vegetazione arborea è limitata a un paio di metri e questi suoli sono soggetti a periodi ciclici di saturazione d’acqua ovvero a disseccamento spinto creando un ambiente particolarmente difficile per la vegetazione. La zona di fluttuazione di questa falda superficiale è riconoscibile sul profilo grazie alla presenza di concrezioni nodulari di ferro e manganese dal caratteristico colore nero rugginoso, che possono concrescere fino a costituire un orizzonte cementato (plintite). Anche i suoli delle basse, molto recenti, per lo più sabbiosi con elevata presenza di ciottoli (scheletro) sebbene perfettamente drenanti sono molto sottili perché poggianti sui sedimenti villafranchiani antichi e cementati. I suoli migliori del parco, perché sciolti e più profondi, si ritrovano sulle falde di detrito alla base delle scarpate dei terrazzi più vecchi.Il Medioevo a La Mandria è documentato dalla presenza nel territorio di Druento dei resti dell’antico ricetto di Rubbianetta. Qui sono tutt’ora visitabili i ruderi dell’antico ricetto con i muri del Castello e la chiesetta splendidamente affrescata di San Giuliano.
Il territorio faceva parte del Viscontato di Baratonia. Il nome di Ottone, Visconte di Baratonia, compare vicino a quello della Contessa Adelaide, allora reggente la marca di Torino, forse per la prima volta nel 1075. Il dominio dei Baratonia si estendeva inizialmente tra la Dora Riparia e lo Stura ed in seguito anche alle zone limitrofe, sino alle rive del torrente Ceronda.
Il Castello della Rubbianetta, “Castellaccio”, de La Mandria può rappresentare l’avamposto di un antico sistema di controllo militare a guardia di Torino e dei valichi montani. Nel tempo la struttura difensiva assunse con ogni probabilità la funzione di ricetto a protezione del Borgo rurale sorto attorno alla Chiesa di San Giuliano.
Nel 1343 il territorio passò sotto il potere dei Provana di Carignano. In particolare il ramo generato da Leonetto, consigliere di Leinì, si distinse a partire dal 1500 circa con l’appellativo di Druent e Rubbianetta.
Nella seconda metà del 1500, Carlo Provana era stato “arrogato in figlio” da Francesco di Druent dalla linea di Ardizzone. Nonostante questa arrogazione fosse poi stata annullata, egli comunque succedeva nei feudi di Druent e Rubbianetta, in virtù di lettere patenti di donazione del Duca Carlo Emanuele I. Il matrimonio di Carlo con Paola Henry de Crémieux (la cui famiglia proveniva dal Delfinato e si era da poco stabilita in Piemonte dove possedeva il feudo di Altessano) e l’eredità dei Druent, favorì l’accumulo di una serie di feudi e proprietà allodiali, tutte situate da Madonna di Campagna verso le terre di Druent ed Altessano, costituendo un insieme territoriale di estese dimensioni, reddito e potere. Carlo Provana morì nel 1599.